mercoledì 24 giugno 2015

In mezzo scorre il fiume

Stanotte ho dormito veramente male a causa di alcuni sassolini sotto il mio sacco a pelo e di alcuni tarli nella mia testa. La solitudine ingigantisce i pensieri, sia positivi che negativi. Fortunatamente la luce del mattino ha risolto tutto.
Partiamo con calma seguendo lo wadi (torrente) M’Goun nella splendida valle che ha scavato nei secoli, dando vita a formazioni rocciose che si ergono imponenti verso il cielo; non incontriamo nessuno se non nomadi spersi, soprattutto bambini – piccoli ma con gli occhi grandi – che sembrano quasi intimiditi dalla mia presenza. 


Camminiamo per circa 4 ore fino a giungere alla confluenza di due fiumi dove sorge un rifugio abbandonato: dopo tre notti all’addiaccio finalmente Mohammed e Moustafà dormiranno al chiuso. 


Il vecchio rifugio è chiuso e abbandonato, è stato distrutto dai nomadi che l’hanno usato come riparo di fortuna durante le migrazioni invernali dal deserto quando, sorpresi dalle tempeste di neve, vi si sono rifugiati con bambini e animali.
Il rifugio è di proprietà dello Stato e dipende dalla provincia di Ouarzazat; peccato che per arrivarci dal capoluogo si debbano percorrere 70 chilometri in auto e due giorni a piedi. È difficile che la provincia se ne prenda cura.
Mentre i miei amici berberi si accampano e si riposano io monto la tenda su un prato vicino al torrente, a pochi metri sopra di me ci sono un paio di casupole scavate nella roccia. Per il resto nulla, solo montagne intorno a me.



Il pomeriggio passa tranquillo immerso nella lettura de “I pilastri della terra”, mirabile saga medievale, e nella contemplazione del paesaggio. Non sembra di essere in Africa, almeno non nell’Africa stereotipata che abbiamo in mente; notti fredde e stellate, tempeste di neve: non è vero che l’Africa è solo il continente nero e caldo.  


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