sabato 20 giugno 2015

Un giorno di ordinaria follia a Marrakech

Esco alla scoperta della citta. La Koutobia è il simbolo della città, la torre del minareto svetta sulla medina e la sera, illuminata da mille luci, è uno spettacolo da Mille e una notte.


Vengo intercettato dal solito venditore d'artigianato, sdentato che parla due parole d'Italiano. Subito passiamo al francese...non che sia molto meglio. 

Cerca di convincermi a fare una puntata nel suo bazar "Seulement pour voir, mon ami" ma presto si accorge che sono il peggior cliente della terra e mi lascia andare. 
Vado in banca a cambiare: qua invece che prendere il numerino devi lasciare il documento sul bancone, insieme a quello degli altri, e poi il bravo impiegato serve 3 clienti contemporaneamente. Io gli ho dato 100 euro e lui mi ha accreditato un mese di pensione marocchina.
Si sentono mille odori nelle strade; ora sono seduto su una panchina e mi viene al naso profumo di mandorle tostate. 
Visito le tombes Saadiennes costruite in bianco marmo di Carrara e penso a quanto sia pregiato questo materiale tutto italiano, a come siamo fortunati ad avere le più grandi cave di uno dei materiali da costruzione più desiderati al mondo. 
Mi godo un tè alla menta in un bar su uno degli incroci più incasinati che abbia mai visto, pullman, motorini - vecchi Peugeot ad avviamento a pedale - carretti trainati da asini tanto magri quanto spelacchiati. Macchine e furgoni si fermano in continuazione in mezzo all'incrocio per caricare o scaricare persone e pacchi ma questo non sembra preoccupare né tantomeno irritare l'automobilista medio marocchino che - sospirando Inshallah - allarga le braccia in attesa che il flusso riprenda lento e incostante. 





Un venditore di tappeti mi trascina nel suo bazaar millantando la conoscenza di un amico Emilio Qualchecosa, dentista a Milano. Qui tutti hanno amici, o amici di amici, in Italia.
Io schivo contrattazione e acquisto di qualsiasi bene, dalle spezie ai tappeti, affermando di non avere spazio, soldi, lavoro, moglie e famiglia.
Sono l'ultimo degli ultimi, un pellegrino nullatenente interessato solamente a comprare momenti e visioni, colori e odori.
Non posso mettermi il Marocco nello zaino, me lo metto negli occhi e nel cuore.
Entro al Palais el Bahia, capolavoro dell'architettura arabo-marocchina: dal rumore del traffico vengo catapultato in un piccolo paradiso dove gli aranci rinfrescano i riad e le corti. Sono sempre affascinato dalle decorazioni di maiolica colorata che riproducono solamente forme geometriche, le stesse da Agra a Siviglia, da Istanbul a Marrakesch. Il Corano vieta la riproduzione di figure umane o animali - giacché questa è prerogativa di Allah - e così gli architetti musulmani hanno dato sfogo alla fantasia creando, appunto, gli arabeschi, finissimi intrecci di fantasia che si mescolano a fiori e versi sacri. 
Ho molte sensazioni di deja-vu: da Granada, Cordoba e Siviglia, al Taj Mahal, alle splendide moschee di Delhi, da Santa Sofia e Topkapi ai patios nascosti di Palma de Mallorca, l'architettura islamica si replica all'infinito, uguale a se stessa eppur diversa. 
Il grande cortile bianco contornato da colonne ottagonali con piccole venature blu è scintillante e mi ferisce gli occhi: non riesco a sopportarne la vista senza che mi lacrimino gli occhi. Due bambini, uno vestito di rosso, l'altro di blu, compiono evoluzioni sul candido marmo: il contrasto cromatico stordisce i sensi.



Ho scoperto che nessuno dei 2 bancomat funziona in nessuna banca marocchina, quindi mi devo far bastare i soldi che ho: la cosa non dovrebbe essere difficile, visto che qui si mangia con cinque/sei euro e si dorme più o meno con la stessa cifra. Per risparmiare ho deciso che prenderò la guida direttamente ad Agouti dove inizia il trekking. Domani parto in autobus verso l'Atlante. Intanto per rilassarmi mi sono fatto un bagno nella piccola piscina del riad e poi mi sono messo alla ricerca di un ristorante. 

La medina di Marrakech è un maledetto labirinto, ti inoltri nei vicoli, fai 3 curve, passi sotto 3 case e ti trovi in un cul de sac. Ho trovato l'uscita dall'hotel solo al terzo tentativo; mi sono inoltrato nel souk e ho scovato una chicca: il vicolo dei fabbri. Un'intera via dedicata esclusivamente alla lavorazione del ferro.
Nel souk decine e decine di motorini sfrecciano a velocità folle, facendo pericolosamente il pelo ad ogni genere di mercanzia stipata negli anfratti delle botteghe. Ho appena visto una donna sfrecciare in motorino con bebè avvolto in uno scialle rosso a mo' di marsupio: in Italia un'azione così sarebbe punita con il ritiro simultaneo di patente e patria potestà.





Dopo un tramonto spettacolare con vista sui tetti color ocra di Marrakech, vado a cena ai mitici banchetti di Jemaa el Fna. Mi siedo al banchetto del venditore di lumache e per 10 Dirham mi faccio una scorpacciata di gustosi molluschi. La piazza è un orgasmo di luci, suoni, colori, gente, venditori di cibo che ti trascinano da qualsiasi parti e cercano di farti sedere ai tavoli.





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