Sveglia presto e attesa del taxi collettivo che mi riporterà ad Azilal
e poi da lì chissà dove; ci mette circa un’ora per raccogliere tutta la gente
del villaggio: l’autista ogni volta che incrocia un altro veicolo si ferma e
inizia uno scambio di battute i berbero stretto, per me assolutamente
incomprensibile se non per le ultime due parole, waha “d’accordo” e jalla “andiamo”.
Il contachilometri è rotto in compenso la radio funziona benissimo e l’autista
spara a tutto volume la preghiera coranica per due ore; io prego di arrivare
intero, visto come guida, ma soprattutto di arrivare in fretta perché le mie orecchie
non ce la fanno più. È come se noi ascoltassimo Radio Maria per due ore di
fila: c’è da uscirne pazzi.
Finalmente arriviamo alla stazione dei bus di Azilal dove ritrovo
Hassan, il capo bigliettaio; gli chiedo indicazioni per andare alle cascate di
Ouzoud, la principale attrattiva della zona. Mi indirizza verso la stazione dei
petit taxi, un fenomeno tipicamente marocchino: un’auto – quasi sempre una
berlina Mercedes con almeno 200.000 chilometri – viene riempita, anzi stipata,
con sei persone, oltre all’autista. Ovviamente non parte finchè non è piena ma
io sono abbastanza fortunato perché si riempie in mezzora; in quel lasso di
tempo ho modo di osservare le dinamiche d’acquisto dei biglietti: il
bigliettaio è seduto a un tavolo chiuso per tre quarti da un passamano in ferro
attorno a cui si accalcano le persone senza un ordine, che urlano la propria
destinazione e gli porgono i soldi che lui incassa e pone sotto delle
mattonella di metallo – immagino che ognuna di esse rappresenti una
destinazione. Una volta completato il carico si viene magicamente indirizzati
verso l’auto giusta. Il bigliettaio è coadiuvato da aiutanti che urlano, come i
bagarini fuori dalla stadio, nomi di località sconosciute.
Finalmente arriva il mio turno, vengo indirizzato verso una Mercedes color panna acida e strizzato tra il finestrino e tre robusti signori; la maniglia della portiera è tenuta insieme con il fil di ferro, manca la manopola per abbassare il finestrino, il tachimetro è rotto ma in compenso abbondano i sacchetti per il vomito. Di fianco all’autista sono seduti nonna e nipotino; il ragazzino dopo dieci minuti chiede gentilmente un sacchetto e fa quello che deve tra l’imperturbabilità completa di tutti. Anzi qualcuno gli dà pure una pacca d’incoraggiamento sulla spalla.
L’autista deve aver gareggiato in F1 nella vita precedente; è vero che il tachimetro non funziona ma lui affronta le curve a velocità smodata, superando camion, inchiodando e schivando muli carichi, parlando al telefonino e spesso girandosi a parlare con gli altri o a guardare il panorama.
Arriviamo a Ouzoud, località abbastanza turistica, dove un piccolo torrente precipita per oltre 30 metri dando luogo a splendide cascate.
La discesa verso il basso è un passaggio infernale tra ristoranti, bar e venditori di chincaglierie. Non è proprio il mio genere e medito di scappare appena possibile: cerco di imbarcarmi clandestinamente su un bus turistico in direzione Marrakech ma senza successo così non mi resta che prendere un altro petit taxi che mi riporti ad Azilal. Peccato che sono le tre del pomeriggio, fa un caldo atroce e non ci siano molti viaggiatori; mi accomodo all’ombra di un ulivo in attesa dei miei prossimi compagni di viaggio. Finalmente, a poco a poco, troviamo gli altri cinque disperati che si pigiano in taxi con me e partiamo. Ritorno ad Azilal, scendo alla stazione dei bus, mi informo sul prossimo bus per Marrakech ma con mio grande disappunto il primo sarà domattina.
Ok, no panic.
Nemmeno il tempo di riflettere su cosa fare che un tizio mi si avvicina in maniera concitata e mi fa: “Marrakech?”.
“Oui”.
“Vite, vite, viens avec moi…petit taxi”.
Non ci posso credere, ho avuto la botta di culo che una famiglia di 5 persone stesse cercando il sesto. Mi riaccomodo sulla Mercedes in compagnia di due manovali e delle rispettive mogli, tutte adeguatamente velate.
Io sono nel posto del morto, tra l’autista e il passeggero, con lo
specchietto retrovisore a breve distanza dal lobo frontale. Se inchioda sono
con la testa nel vetro e ogni volta che cambia marcia mi fa un massaggio alle
chiappe; dopo mezzora ho una paresi alla gamba sinistra, innaturalmente piegata
sull’altra. L’unico che bofonchia due parole di francese è il mio vicino perciò
la conversazione langue; in compenso mi offrono qualsiasi tipo di cibarie e
coca cola a non finire. Loro parlano concitatamente, a toni altissimi e tutti
insieme, compreso l’autista, per cui a me non rimane altro che guardare la
strada e pregare di non fare incidenti. Finalmente arriviamo a Marrakech, alla
stazione dei bus, dove cerco un taxi locale che mi porti a Jemaa el Fna: mi han
detto che una corsa dovrebbe costare tra i 7 e i 10 Dirham, il taxista me ne
chiede 30 e inizia una contrattazione feroce che si chiude a 15 (1,50 euro).
Che pacchia il Marocco.
Mangio un’ottima grigliata di agnello in piazza e mi dirigo all’Equity
Point dove, oltre a trovare da dormire, mi rendo conto che hanno tolto l’ora
legale da due giorni: ieri poco male che tanto ero in montagna ma oggi…è anche
vero che qua gli orari sono relativi, bus e taxi partono quando si riempiono.
Ora riposo e faccio i piani per domani.
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