mercoledì 5 marzo 2008

Il mio grosso grasso matrimonio indiano

Il matrimonio dista appena 30 chilometri ma il viaggio si rivela ben presto un`odissea: i lavori per la metropolitana paralizzano Delhi e la presenza di mezzi tanto differenti tra loro non favorisce il tutto. Finalmente dopo 1 ora e mezza giungiamo alla festa.
Immaginate ai bordi dell`autostrada uno spazio all`aperto, meta` Disneyland e meta` Venezia, ma la Venezia delle cartoline, col ponte dei sospiri tutto illuminato da luci natalizie.




Nonostante gli sposi appartengano
alla casta dei
bramini, i piu` ricchi e nobili, il buon gusto non e`

di casa: lo sposo, un ometto rotondo e paciocco,
vestito di un improbabile azzurro carta da zucchero, giunge su un carro hollywoodiano, trainato da due candidi ronzini, tutto parato a festa, preceduto da una turba di ballerine in sari sgargianti e una banda di ometti baffuti e rossovestiti che si agitano e strepitano con trombe, trombette, tamburi, nacchere e qualsiasi strumento possa fare rumore.

Questa scena, gia` di per se` particolare, diventa surreale quando si nota un camion che segue il carro e funge da generatore per le mille luci colorate che addobbano il carro.

Entriamo all`interno e ci accoglie un prato preparato come fosse una fiera, con banchetti in cui viene cucinato cibo, camerieri che lo distribuiscono con quel fare cerimonioso e accondiscendente che hanno tutti i camerieri del mondo, figurarsi quelli indiani. Per inciso, visto che il matrimonio e` tra bramini hindu, l`alcool e` vietato: trattasi quindi di un dry wedding, una palla mostruosa. Per fortuna ci sono alcuni colleghi di Davide coi quali costituiamo un gruppo di Italiani.

In fondo al prato e` stato allestito il palco per la cerimonia e ovviamente e` un concentrato di pacchianeria: luci, veli, specchietti, tutto contribuisce al cattivo gusto, ma non importa, va bene cosi`.

Anche noi saliamo sul palco per la foto di rito con la sposa e i parenti, vestiti in abiti tradizionali, parliamo con la madre della sposa e le facciamo i complimenti che si fanno di solito, con la piccola differenza che si tratta di un matrimonio indiano, a 6000 chilometri da casa.

Verso mezzanotte la gente inizia a sciamare e visto quanto ci abbiamo messo all`andata decidiamo di andare anche noi, visto che domani la sveglia e` fissata per le 6 e 30 per andare ad Agra a vedere il Taj Mahal.

La strada del ritorno e` perfino peggio perche`
dopo mezzanotte iniziano a circolare i camion che di giorno sono banditi. Le due corsie si riempiono in fretta e diventano file di 3 o 4 macchine, i camion impazzano, bici, carretti, perfino un enorme palla che al buio sembra un elefante morto e invece si rivela un covone di fieno alto 5 metri, caricato su un trattore che si e` messo di fianco in mezzo alla strada e rallenta tutto e tutti. Inoltre gli indiani hanno la strana abitudine di fermare il camion e dormire dove gli pare, noncuranti del fatto di essere in mezzo a una strada o su un cavalcavia.


La buttiamo sul ridere perche` non si puo` fare altrimenti e all`una e mezza siamo finalmente a casa. Ci aspettano poche ore di sonno e domani di nuovo in viaggio: 200 chilometri e 4 ore di viaggio per giungere ad Agra, la citta` adagiata sulle sponde del fiume Yamuna, sede di alcuni dei piu` bei monumenti indiani.

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