sabato 20 giugno 2015

La lunga strada verso l’Atlante

Oggi è il giorno in cui mi muovo verso le montagne. Mi dirigo alla stazione degli autobus , la Gare Routiére, per comprare il biglietto per Azilal. Ho un’ora e mezza di attesa , ne approfitto per visitare i giardini di El Harti, una piccola oasi di silenzio nel traffico caotico della città.
La stazione degli autobus assomiglia a tutte le altre stazioni che ho visto in Nordafrica e Asia: code di persone che attendono pazienti, quasi rassegnate, individui dall’aria affacendata dividono i viaggiatori in base alla destinazione e li indirizzano alla piattaforma giusta. Mi metto in attesa anche io e osservo un meccanico che finisce di cambiare la ruota dell’autobus davanti alla mia banchina, che non sembra per nulla affidabile.
I passeggeri si svegliano subitaneamente dal loro torpore, si alzano tutti contemporaneamente e corrono verso un’altra banchina e i bigliettai strillano “Azilal, Azilal”. Salgo su un autobus che sembra parecchio più nuovo del precedente , chiaramente strapieno; ovviamente sono l’unico straniero. Trovo posto in penultima fila, accanto a un tipo strano, coi denti rossi macchiati di tabacco, che borbotta due parole di francese. È incuriosito, mi chiede dove vado dopo Azilal, rispondo che non lo so: sono stufo di gente interessata morbosamente ai miei spostamenti. Lui va alle cascate d’Ouzoud, io sono diretto alla valle di Aït Bouguemez, punto di inizio del mio trekking, della salita al M’Goun.
Prima della partenza sul bus sale qualsiasi tipologia di essere umano, mendicanti senza braccia, venditori di cibo, fazzoletti e scarpe, un uomo distribuisce il Corano a tutti i passeggeri – io declino con cortesia, ho paura che mi venga la nausea a leggere in pullman.
Finalmente si parte e siamo già nell’ingorgo ancora prima di uscire dalla stazione dei bus, tutti gli autobus in partenza si accalcano verso lo stretto pertugio che costituisce l’uscita, convulsi colpi di clacson, urla, improperi e gestacci da parte degli autisti. Da Marrakech ad Azilal sono 150 chilometri che percorriamo alla fantasmagorica velocità di 40 km/h, compresa la pausa a metà strada per il pranzo. Ci fermiamo in un villaggio lungo la strada, tutti si lanciano giù dal bus e si siedono a tavola a mangiare tajin e kebab. Io, visto il caldo e il viaggio ancora lungo, mi accontento di un po’ di frutta fresca.
A metà pomeriggio arriviamo ad Azilal, sperduta cittadina nel desrto, eppure capoluogo di una provincia del Marocco centrale. Oggi, come in tutti gli altri giorni che Allah manda in terra, è giorno di mercato, un souk polveroso e incasinato, con venditori di succo d’arancia che stazionano con la loro bancarella ai margini del parcheggio dei bus, una folla cenciosa e disordinata si muove senza tregua, contratta, urla, prega.


Essendo l’unico straniero vengo subito individuato dal ras della piazza, l’organizzatore dei pullmini collettivi, “Transport Mixte”, che mi porteranno a destinazione; mi porge il biglietto e sul retro mi scrive l’indirizzo di un hotel dove pernottare e verosimilmente trovare una guida. Hassan ha 34 anni – anche se sembra mio padre – è berbero, si muove con disinvoltura tra pullman, pullmini, camion e carretti e fà tutto con una mano sola, la destra: scrive, strappa biglietti, prende soldi, dà resti, indica gli autobus in partenza. Nella mano sinistra, tra l’indice e il medio, tiene ben stretto fasci di banconote divise per taglio.



Dopo quasi un’ora di attesa salgo sul pullmino e trovo un posto singolo vicino al finestrino; Hassan sale e mi porge il suo cellulare: “è la guida, parla”. Husayn la guida parla un francese discreto e mi assicura che verrà a intercettarmi al Gite d’Etape, l’albergo rifugio. Non ho dubbi, da queste parti hanno un’efficacissima catena di trasmissione delle informazione (e dei soldi del clienti), nulla è lasciato al caso.
Quando il veicolo è pieno partiamo, siamo stracarichi di persone e oggetti, soprattutto angurie, caricate sul tetto insieme al mio zaino. All’interno un paio di persone hanno piazzato dei bassi sgabelli di plastica in mezzo al corridoio e si accomodano così. Man mano che si prosegue continuiamo a caricare persone; arriviamo a essere 24 su un mezzo omologato per 16. In ultima fila c’è una coppia di giovani, lei inizia a vomitare dopo dieci minuti e andrà avanti tutto il viaggio; scenderà, pallida come un cencio e traballante sulle gambe, a pochi chilometri dal capolinea. Magari è in cinta oppure ha semplicemente mangiato pesante; io per non sbagliare mi sono tenuto leggero.
Il viaggio dura tre ore lungo una strada miracolosamente asfaltata, tortuosa e a strapiombo su lontani torrenti impetuosi e limacciosi. Pian piano i passeggeri vengono lasciati alle loro case, io sono l’ultimo, ormai è quasi buio e mi chiedo che ne sarà di me in questa valle sconosciuta che assomiglia alla valle di Dracula nel film di Coppola.


Arriviamo a Tabant, anzi un sobborgo. Definirlo paese è esagerato, sono tre case su un sentiero sterrato; vengo accolto da Husayn che mi introduce in una casa berbera di cui sono l’unico ospite.

Mi aspettavo altri trekkers ma la guida mi dice che quest’anno c’è poco movimento; non so se lo dice per impietosirmi e strapparmi un prezzo più alto. Tira fuori la carta e mi mostra due alternative: la Boucle e la Traversée, l’anello del massiccio del M’Goun o la traversata fino alla Valle delle Rose. La seconda sarebbe fantastica ma va oltre le mie possibilità economiche e me la tengo per la prossima volta. Inizia una trattativa serrata sul prezzo davanti a una caraffa di tè bollente e speziato. Sono le 9 di sera, non ho mangiato e inizio a essere stanco e nervoso; mi spara un prezzo per il tour senza guida, solo col mulattiere. Gli faccio una controproposta, lui ci pensa su ed esce per il paese alla ricerca del mulattiere. Mentre mangio la tajin di pollo e verdure che mi ha preparato Mohammed, il ragazzo quattordicenne che sta in cucina, rifletto e decido che è meglio avere anche la guida. Quando Husayn torna trafelato formulo la controfferta, lui ci pensa, fà due calcoli ed esce a cercare anche la guida; torna affannato per dirmi che l’affare è concluso: domattina alle 8 si parte con guida, mulattiere, mulo e tenda per il giro del M’Goun.


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